Freelance «veri» o «falsi»? i rischi dei lavoretti part-time

Molti traduttori iniziano con il freelancing quasi per caso: perché a un parente serve una traduzione o perché l’amico di un collega ha bisogno di una rilettura della sua tesi. E d’improvviso ci si ritrova a lavorare regolarmente per uno o più clienti, a stilare preventivi ed emettere fatture. Ma si tratta davvero di lavoro freelance? A chi spetta deciderlo? E quali rischi corre un freelance che non sa di essere «falso»?

Cominciamo con un piccolo aneddoto. La traduttrice Tea Traduzco lavora a tempo pieno presso un’agenzia pubblicitaria e nel suo tempo libero le capita di occuparsi di piccole traduzioni e revisioni per alcuni suoi conoscenti. Un giorno riceve la chiamata di un suo vecchio amico, ora titolare di una start up, al quale serve una traduzione. Dopo averlo consigliato sul modo di procedere, Tea invia un preventivo all’amico che si dichiara d’accordo di affidarle l’incarico secondo i termini stabiliti. Una settimana dopo, Tea gli consegna la traduzione con tanto di fattura di CHF 450. L’amico le invia una conferma aggiungendo tuttavia che la sua start up detrarrà dall’importo il 12.5% di contributi sociali e che pertanto le verserà la somma di CHF 393.75. Per Tea questa è una novità e chiede spiegazioni all’amico, il quale le risponde come segue: in caso di entrate extra, per legge Tea sarebbe obbligata a versare il 12.5% del suo guadagno all’AVS, ma non essendo una persona giuridica e neanche una freelance «vera» con attestato AVS che provi il suo status da libera professionista part-time, sarà la stessa start up a detrarre detta percentuale dal compenso e versarla direttamente all’AVS. Tea continua a non vederci chiaro: è innanzitutto la percentuale a stranirla, poiché sa che i contributi sociali vanno pagati per metà dal datore di lavoro, quindi la sua parte dovrebbe corrispondere al 6.25%. Inoltre, essendo impiegata presso un’azienda Tea non corre il rischio delle cosiddette lacune contributive perché versa regolarmente i dovuti contributi con la sua busta paga mensile. Chiede quindi consiglio a una sua collega, la quale afferma che Tea avrebbe diritto al compenso totale senza alcuna detrazione. Chi ha ragione?

Le aziende: dalla flessibilità al rischio

Sono in molte le aziende a non sapere che la collaborazione con i freelance può rappresentare un’arma a doppio taglio. Infatti, mentre da un lato tale modello di collaborazione contribuisce a snellire l’organico e ad aumentare la flessibilità dell’azienda, dall’altro vi è il rischio che, in caso di controlli, la presunta collaborazione su mandato con un «falso» freelance possa essere considerato un normalissimo rapporto di lavoro dipendente. Questo significa che l’azienda sarebbe tenuta ad adempiere a tutti gli obblighi contrattuali non solo provvedendo al versamento delle quote AVS/AI/IPG e AD, ma anche di tutte le altre prestazioni previdenziali, l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni professionali eccetera. A questo potrebbero aggiungersi multe salate per la mancata registrazione del freelance all’AVS nonché l’obbligo di versamento di tutti gli arretrati delle prestazioni previste dalla legge. Per prevenire questo rischio, alle aziende si consiglia innanzitutto di accertare che il freelance sia «vero» richiedendo una copia dell’attestato AVS che riconosca l’attività indipendente dello stesso. Ma attenzione: qualora in mancanza dell’attestato l’azienda intendesse tutelarsi detraendo dal compenso del freelance le percentuali per i contributi sociali, rischia di dare ulteriore prova di un regolare rapporto di lavoro dipendente piuttosto che della collaborazione occasionale su mandato. Versandogli un compenso minore rispetto alla somma pattuita nel preventivo, rischia inoltre di compromettere il rapporto professionale con il suo freelance.

Il freelance: conoscere status, obblighi e diritti

Per un freelance occasionale non è sempre facile determinare la propria situazione, soprattutto se, come nel caso di Tea, svolge una «attività lucrativa dipendente». In questo caso il compenso per i lavoretti extra rappresenta più che altro una «paghetta» che non può essere definita irrinunciabile per arrivare alla fine del mese. Si tratta, insomma, di un «reddito di poco conto» prodotto da una «attività indipendente esercitata a titolo accessorio». Eppure anche il freelance occasionale e quindi «falso» (cioè non in possesso dell’attestato AVS) corre il rischio di dover pagare i contributi arretrati nel caso le sue entrate superino la soglia prevista dalla legge. L’articolo 19 dell’ordinanza sull’assicurazione per la vecchiaia e per i superstiti (OAVS) parla chiaro:

Se il reddito proveniente da attività indipendenti esercitate a titolo accessorio non supera 2300 franchi per anno civile, il contributo è percepito soltanto a richiesta dell’assicurato.

In altre parole: una detrazione da parte dell’azienda committente è lecita solo se il guadagno annuo è superiore ai CHF 2300, altrimenti solo su esplicita richiesta del freelance. Se quindi il freelance «falso» svolge ogni mese incarichi per CHF 200, l’azienda è tenuta a detrarre dal compenso la metà della percentuale prevista, ovvero il 6.25%, e a provvedere all’assicurazione contro gli infortuni professionali. È bene tenere presente che i CHF 2300 si intendono non solo per anno civile, ma anche per cliente (o datore di lavoro). Quindi, nel momento in cui gli incarichi cominciano ad aumentare o vengono trasmessi a cadenza regolare, il freelance occasionale farebbe bene a informarsi presso l’ufficio delle assicurazioni sociali del suo luogo di residenza. Il consiglio più importante è tuttavia quello di cercare di «anticipare» gli sviluppi degli incarichi e di provvedere a informare i clienti circa gli obblighi di cui sopra, per esempio in occasione del preventivo o della conferma di accettazione dell’incarico.

Tenere d’occhio cifre, numero di clienti e frequenza degli incarichi

Torniamo a Tea e alla sua vicenda. Come accennato sopra, è probabile che l’amico cerchi di prevenire eventuali rischi trattenendo dal compenso di Tea una percentuale per il versamento dei contributi sociali, forse perché in futuro intende affidarle ulteriori incarichi il cui importo supererebbe i CHF 2300. Sbaglia tuttavia in tre cose:

  1. Se la sua intenzione è questa, la percentuale da detrarre è del 6.25%, l’altra metà spetta a lui. Inoltre, per semplice correttezza professionale avrebbe dovuto informare Tea subito dopo aver preso visione del preventivo, evitando così disguidi e confusione a lavoro concluso.
  2. Poiché solitamente i contributi sociali vanno calcolati all’anno, l’amico avrebbe potuto informare Tea circa la sua intenzione e proporle (sottolineo proporle) un «piano di pagamento» appropriato, per esempio trattenere il 6.25% su ogni compenso e, a fine anno, verificare il guadagno complessivo di Tea: se l’importo sarà superiore a CHF 2300, l’amico potrà versare i dovuti contributi aggiungendo la sua parte e inviando a Tea una conferma del versamento. In caso contrario Tea sarà rimborsata.
  3. Come ricordato sopra, la decisione se trattenere il 6.25% o meno spetta a Tea e non al titolare della start up, poiché il compenso per questo primo incarico non supera la soglia prevista dalla legge e Tea non ha la certezza che ne seguiranno altri.

La vicenda di Tea potrebbe chiudersi in diversi modi, forse con una stretta di mano o forse con qualche malumore reciproco. L’importante è non farsi sopraffare dall’atteggiamento «risoluto» del cliente e non avere remore nel contraddirlo, perché una cosa è certa: la diffidenza e l’insicurezza non favoriscono un rapporto lavorativo sereno e duraturo. E a proposito di diffidenza: nel caso Tea dovesse accettare un eventuale «piano di pagamento» e, a fine anno, superare la soglia di CHF 2300 senza però ricevere una conferma del versamento da parte della start up, potrà sempre verificarne l’effettuazione richiedendo gratuitamente un estratto del suo conto individuale AVS (conto CI). Un elenco completo di tutte le casse di compensazione in Svizzera è disponibile qui.

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Patrizia Napoli 

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